Nei casi di danno proveniente dalla pubblica amministrazione, la riforma del processo amministrativo avvenuta col d. lgs. 104/2010 è preclusiva dell’azione risarcitoria in giurisdizione ordinaria, se non ci sia stata richiesta di annullamento di ufficio del provvedimento illegittimo, ai sensi dell’art. 21 nonies della legge 241/1990. La normativa di riferimento è quella di seguito specificata.
Il d.lgs. 104/2010 ha parzialmente sottratto alla giurisdizione ordinaria l’azione risarcitoria, stabilendo che quest’ultima è attivabile dinanzi al TAR:
La precisazione “parzialmente” è dovuta al fatto che il d.lgs. 104/2010 non interferisce con l’art. 21 nonies della legge 241/1990, rimanendo, pertanto, ferma ed impregiudicata la disciplina contenuta in quest’ultimo.
Infatti, come vedremo, tale disciplina rende, ai sensi dell’art. 2947 del codice civile, attivabile dinanzi alla magistratura ordinaria l’azione risarcitoria, entro cinque anni dal comportamento lesivo della pubblica amministrazione, il quale risiede non nel provvedimento (il provvedimento è impugnabile solo dinanzi al TAR), ma nel fatto costituito dal respingimento, tacito o espresso, dell’istanza di annullamento di ufficio del provvedimento (il respingimento, infatti, conserva gli effetti lesivi del provvedimento non impugnato dinanzi al TAR).
Tuttavia, tale fatto è condizione necessaria ma non sufficiente ai fini dell’azione risarcitoria, avendo giuridica validità solo se avviene entro il termine nel quale la predetta istanza sarebbe potuta essere accolta (prima del d.l. 77/2021, entro diciotto mesi dalla data di adozione del provvedimento di autorizzazione o attribuzione di vantaggi economici che ha creato lesione soggettiva; dopo il d.l. 77/2021, entro dodici mesi).
Ne deriva che la data massima di presentazione alla pubblica amministrazione dell’istanza di annullamento d’ufficio del provvedimento illegittimo deve precedere il termine predetto di un lasso di tempo ragionevole.
Non essendoci previsioni di legge, vale la disposizione regolamentare dell’ente, in mancanza della quale i due termini coincidono.
L’art. 21 nonies della legge 241/1990:
Poiché, tuttavia, l’ovvietà di tale previsione implicita (ovvietà dovuta al non poter esserci niente, al di fuori delle responsabilità civili o penali, da cui la pubblica amministrazione possa autotutelarsi: affermare cioè che l’art. 21 nonies della legge 241/1990, avente ad oggetto la disciplina dell’autotutela amministrativa, non prospettava quelle responsabilità significa affermare l’assurdo) non impediva letture baranti della norma (l’assurdo di cui si è detto), l’art. 25, comma 1, lett. b-quater, della legge 164/2014 sostituì l’esplicito all’implicito così come segue: All’art. 21 nonies, comma 1, della legge 241/1990, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: Rimangono ferme le responsabilità connesse all’adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo.
L’art. 25, comma 1, lett. b-quater, della legge 164/2014 non fu, pertanto, in alcun modo modificativo dell’art. 21 nonies della legge 241/1990, del quale quindi la sentenza n. 22431/2005 della Corte di Cassazione penale, sez. VI, è da ritenersi non interpretativa, ma rigorosamente applicativa.
La sentenza afferma che, a fronte del rigetto tacito della richiesta di autotutela e della conseguente azione legale, è il giudice ordinario che deve valutare se l’ente fosse obbligato o meno a provvedere (se la fattispecie ricada cioè nel reato di omissione di atti di ufficio), riscontrando tale richiesta.
Sul piano della generale giurisdizione ordinaria (civile e penale) la sentenza conduce, pertanto, alla seguente conclusione: il giudice ordinario valuterà se il mancato annullamento del provvedimento (a mezzo di rigetto tacito o espresso dell’istanza di autotutela) abbia dato luogo a lesione da permanenza degli effetti della violazione di norme preclusive della sua emanazione, o se invece sia incensurabile, essendo il provvedimento medesimo stato emesso nell’esercizio della discrezionalità, quale attività decisionale posta in essere all’interno del quadro di legge.
Quest’ultima precisazione non è poi così scontata, se si considera il possibile numero di atti processuali nei quali l’arbitrio (ricorrente esercizio del potere decisionale oltrepassante il quadro autorizzatorio di legge) viene spacciato per discrezionalità.
Successivamente, mediante l’art. 6, comma 1, lett. d), n. 1, la legge 124/2015 modificò l’art. 21 nonies della legge 241/1990, stabilendo che il termine ragionevole non potesse superare diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici.
La successiva modifica è stata quella dell’art. 63 del d.l. 77/2021, che sostituisce “dodici mesi” a “diciotto mesi”
Originariamente, l’art. 21 nonies della legge 241/1990 aveva dunque le stesse finalità che ha tuttora:
Pertanto, nell’applicare successivamente la linea di restringimento dei tempi di impugnazione già recepita dal d.lgs. 104/2010, il legislatore individuò il termine (diciotto mesi) superato il quale era improcedibile l’azione risarcitoria in giurisdizione ordinaria. Attualmente, il termine è, come già detto, di dodici mesi.
Quando il danno proviene dalla pubblica amministrazione, l’azione risarcitoria dinanzi alla magistratura ordinaria è attivabile alle sole condizioni di cui all’art. 21 nonies della legge 241/1990.
Fonte: articolo di redazione lentepubblica.it